Oltre II Muro. La sicurezza urbana contemporanea, tra politiche di inclusione/esclusione spaziale ed esperimenti di partecipazione sociale

AutorDaniele Veratti
Páginas97-114

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Daniele Veratti 1

SOMMARIO: I. Introduzione. II. Verso una sicurezza sostenibile. III. Fratture urbane e città nella città. IV. Legami sociali, prevenzione naturale e sicurezza urbana. V. Conclusioni. VI. Bibliograia.

Introduzione

Con il presente articolo si vuole approfondire, partendo dai concetti di sviluppo urbano sostenibile e controllo sociale informale, la rilessione sul tema dei processi naturali (non formali) di contrasto ai fenomeni di disordine, conlitto e violenza nei territori urbani. La questione della sicurezza é —come noto— sempre presente nel dibattito politico e nelle agende di governo nazionali e locali. Lungi dal considerarla un valore, è molto spesso oggetto di disputa e strumentalizzazione. Non a caso, a livello di sicurezza urbana, sono sempre più frequenti interventi di tipo emergenziale, anziché strutturale, ben distanti, quindi, da quel principio di sostenibilità che dovrebbe essere alla base dello sviluppo sociale. Si assiste, oggi, ad una corsa frenetica per la realizzazione di politiche della sicurezza sempre più soisticate che, invece di dirigersi nella direzione di una reale integrazione delle risorse formali con quelle informali e di un senso di territorialità coprodotto, si limitano a gestire problemi contingenti. Tutto ciò contribuisce a produrre e ad alimentare nei cittadini un generalizzato senso di insicurezza, che non sempre trova corrispondenza con una reale condizione di pericolo. Conseguentemente ai fenomeni globali (sociali, economici e culturali), che hanno segnato il mondo contemporaneo (e continueranno a

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farlo ancora per molto altro tempo), ed a scelte politiche non sempre adeguate, è sorta così una nuova idea di paura, che si caratterizza per incertezza e frustrazione. Con essa si sono sviluppati nelle comunità nuovi meccanismi di difesa, profondamente legati all’ambiente di vita e, quindi, al territorio. In questo contesto, assume un ruolo significativo il muro, che attraverso le sue molteplici forme (frontiera, conine, frattura, limite, ecc.) protegge e, al tempo stesso, divide. Questa epoca si caratterizza per una nuova idea di muro, che porta i cittadini a sentirsi soli di fronte alle side del futuro e ad abbandonare i tradizionali principi di solidarietà, favorendo, in questo modo, la nascita di società sempre più chiuse ed individualizzate. La paura ha una relazione straordinariamente intensa con tale elemento, che la deinisce e la regola. L’articolo intende, quindi, approfondire la relazione che intercorre tra sicurezza, inclusione sociale e territorio, attraverso l’analisi del concetto di muro, inteso non solo come elemento urbanistico, ma anche (e soprattutto) come strumento simbolico in grado di fornire un contributo alla lettura dei fenomeni sociali; esso è, allo stesso tempo, frattura (che esclude), conine (che limita), frontiera (che controlla) e protezione (che tutela).

Verso una sicurezza sostenibile

Nella città contemporanea i legami sociali sono profondamente condizionati, oltre che da una costante riduzione delle dimensioni spaziotemporali, dalla capacità di organizzazione e di gestione dello spazio costruito. Tutto è vicino, tutto scorre rapido, tutto è anonimo. L’insicurezza si manifesta non solo in funzione di eventi critici (azioni criminali, violente, ecc.), ma anche come risposta ad diffuso disagio, conseguenza di un sistema economico sempre più aggressivo ed isolante e di una crisi economica, sociale ed ambientale che ha rimesso in discussione i principi tradizionali del vivere sociale. Tutto ciò ha prodotto una sorta di disorientamento nella percezione dei principali fenomeni di conlitto sociale. La comunità scientifica è oramai concorde nel ritenere che è sempre meno diretto il rapporto tra quantità di eventi critici e livello di insicurezza; non è insolito, infatti, osservare come gli abitanti di città relativamente tranquille mostrino un livello di insicurezza sensibilmente superiore rispetto chi vive in metropoli particolarmente violente.

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La città contemporanea può essere vista come la sovrapposizione di uno spazio isico (lo spazio costruito), sempre più frammentato e rigidamente protetto, con uno spazio umano (lo spazio di vita), luido o —come direbbe Bauman2liquido, ma anch’esso ricco di fratture. Tra spazio di vita e spazio costruito esiste una continuità, senza la quale la città non potrebbe esistere. Dove questa continuità è debole si generano zone grigie, aree poco o per nulla integrate al tessuto urbano, che generalmente si caratterizzano per una discontinuità dei legami sociali rispetto al contesto generale. Quando queste zone grigie sono ben strutturate, è possibile parlare di città nelle città. La città nella città è, in primo luogo, una frattura urbana e, come tale, costituisce un elemento di elevata criticità per quanto riguarda la questione della coesione sociale e, pertanto, della sicurezza urbana: molto spesso essa è la manifestazione di paure individuali e collettive, che portano gli individui e la società a scegliere di realizzare azioni di esclusione ed isolamento con lo scopo di proteggersi. La paura, come meccanismo di difesa, produce antidoti in grado di contrastare sensibilmente le minacce, spesso vaghe, provenienti dal territorio urbano, il quale viene così percepito come “esterno” (protezione isolante e, di conseguenza, escludente). La semplificazione (interno/esterno) messa in atto per “difendersi” ha delle implicazioni estremamente pericolose in termini di integrazione, poiché conduce gli individui a ridurre tutto ad aride dicotomie: dentrofuori, buono/cattivo, bianco/nero, cittadino/straniero, onesto/criminale. È molto facile, cioè, cadere nell’errore che rafforzare i conini e porre muri —escludendo altro e realizzando un modello individuale ed egoistico di mondo costruito— possa rappresentare la soluzione a tutti i problemi.

Muro e paura si rafforzano quando sono chiamati a contrastare minacce sempre più astratte e vaghe, quando, cioè, l’essere umano si trova solo di fronte ad un esterno incerto ed indefinito. Tale processo si rilette, così, sul vivere sociale e, quindi, sullo sviluppo urbano, che, invece di procedere nella direzione di una maggiore integrazione dei territori (e degli individui), tende piuttosto a favorire lo sviluppo di aree urbane e suburbane marginali ed isolate, rafforzando, in questo modo, sia i muri urbani, che quelli umani.

Questa tendenza alla chiusura, che —come è già stato detto— è una

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reazione, da un certo punto di vista, normale, non deve, però, spaventare. Il rinchiudersi all’interno di una cerchia di mura (così come accadeva nella città antica), all’interno delle mura domestiche, all’interno del proprio gruppo sociale o del proprio inconscio rappresenta, infatti, una reazione naturale, benché istintiva, ad una minaccia. Una società intelligente è quella capace di sfruttare la funzione regolatrice del muro, così da far emergere e rafforzare la solidarietà sociale, che è il più importante strumento di prevenzione naturale. Ciò che, invece, deve essere considerato determinante ai ine di una corretta politica per la sicurezza, è piuttosto l’azione dei decisori nei confronti di questa predisposizione naturale alla chiusura; essi hanno il dovere di attuare ed incentivare politiche pubbliche che, partendo dai muri urbani ed umani (intesi come elementi simbolici, che producono al tempo stesso esclusione e frattura, ma anche protezione e regolazione), sviluppino una sempre maggiore produzione di solidarietà, partecipazione, integrazione e, quindi, prevenzione naturale e controllo sociale informale: sono questi, infatti, gli strumenti necessari alla base di una sicurezza urbana effettivamente sostenibile. Nan Ellin paragona il muro ad un membrana permeabile intelligente che, come la pelle, decide cosa far passare e cosa bloccare: “non dovrebbero esserci troppi muri, non è democratico, ma non dovrebbe nemmeno esserci il nulla: tra una realtà urbana e l’altra dovrebbe esserci una membrana porosa. Basta pensare alla nostra pelle, che è una membrana permeabile, ma anche intelligente, sa cosa lasciar passare e cosa no, bisognerebbe pensare a questo quando pensiamo alle città”.3Agire sulla sicurezza urbana non significa, pertanto, demonizzare od eliminare gli strumenti di regolazione, ma agire sulla loro intelligenza in modo da rafforzare i legami sociali e la coesione tra individui per la realizzazione di una società conviviale.4Se, pertanto, è controproducente (se non addirittura pericoloso) pensare di risolvere un problema di sicurezza urbana attraverso meri interventi isici di protezione e coercizione (che, uniti ad una predisposizione degli individui, producono separazione), bisogna anche

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evitare di stigmatizzare strumenti come il muro o la polizia.5Il muro sta allo sviluppo urbano, come la polizia sta allo sviluppo sociale. Entrambi sono strumenti e, in questo senso, è fuorviante attribuire loro un valore (sia esso positivo o negativo) a prescindere: lo strumento esiste in funzione della società e non é la società ad esistere in funzione dello strumento. Chi governa ha, quindi, il compito di promuovere politiche partecipate e condivise, che siano in grado sviluppare una sempre maggiore integrazione degli strumenti di difesa e controllo sociale formalitradizionali, come il muro e le forze di polizia, con quelli informali presenti nella comunità locali. L’integrazione delle risorse formalifinformali è un punto fondamentale per andare nella direzione di una sicurezza e —di conseguenza— di uno sviluppo urbano sostenibili, uno sviluppo urbano, quindi, capace di soddisfare realmente “i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.6

III͘ Fratture urbane e città nella città

Probabilmente la città...

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